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L’Orto Botanico dell’Università di Pavia (Hortus Botanicus Ticinensis) è il più antico orto botanico della Lombardia. Venne fondato nel 1773 per volere di Maria Teresa d’Austria, che ne affidò la direzione a Fulgenzio Vitman (1728–1806), abate di Vallombrosa e cattedratico di botanica, responsabile, nel 1774, anche dell’istituzione dell’Orto Botanico di Brera a Milano.

L’Orto Botanico di Pavia sorse sulle spoglie dell’antica chiesa di Sant’Epifanio (V sec. d.C.) e del monastero dei Canonici Regolari Lateranensi (1452). Nel corso dei secoli in questo luogo hanno trovato accoglienza diverse istituzioni scientifiche e didattiche, fra le quali il Laboratorio crittogamico (1867–1971), punto di riferimento scientifico per l’agricoltura della nascente Italia unita. Dal 2017 il suo giardino e le sue serre costituiscono un museo del Sistema Museale di Ateneo (l’Orto Botanico in senso stretto) mentre gran parte dell’edificio ospita aule e laboratori del Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente (DSTA), a cui afferiscono anche l’Erbario, la Banca del Germoplasma Vegetale e il Centro didattico divulgativo della Riserva Naturale Integrale Bosco Siro Negri.

Le collezioni dell’Orto Botanico di Pavia rispecchiano fedelmente la variegata storia di questa istituzione. Negli ultimi anni sono state oggetto di riqualificazione e integrazione, anche per favorirne la fruizione da parte di studenti universitari, scuole e grande pubblico, grazie anche alla collaborazione con altre associazioni, come gli Amici dell’Orto Botanico e la Rete degli Orti Botanici della Lombardia, di cui l’orto botancio pavese è socio fondatore.

Fra gli esemplari viventi spicca il Platano di Scopoli, platano ibrido (Platanus hispanica) alto 45 m, che si dice essere stato seminato nel 1778 da Giovanni Antonio Scopoli (1723–1788), uno dei primi direttori dell’Orto e fra i più illustri naturalisti del XVIII secolo. È uno degli oltre 150 alberi che fanno dell’Orto Botanico un vera e propria oasi verde nel centro storico di Pavia, popolata non solo da piante ma anche da una variegata fauna, che conta a oggi 43 specie diverse di uccelli (nidificanti e di passo). 

Ai piedi del Platano di Scopoli sorge il Vigneto proibito, collezione di 30 viti americane e ibride impiegate sin dal XIX secolo come portinnesti resistenti alla fillossera e produttori di uva da vino (la legge, dal 1931, vieta la commercializzazione dei cosiddetti “vini americani”, da cui l’appellativo “proibito”), tra i quali si ricordano cultivar antiche come ‘Isabella’, ‘Clinton’, ‘Noah’, ‘York Madeira’, ‘Rupestris du Lot’ e ‘Golia’. Assieme a un piccolo contingente di vitigni coltivati nel vicino Oltrepò Pavese (‘Croatina’, ‘Barbera’, ‘Moscato bianco’, ‘Riesling italico’), testimonia l’antico ruolo dell’Orto Botanico di Pavia nello sviluppo della viticoltura italiana post-unitaria, alla quale questa istituzione contribuì con la scoperta, per la prima volta in Italia, della peronospora della vite (1879). Il legame con l’Oltrepò è segnato anche dalla presenza di alcune antiche e ormai rare varietà di alberi da frutto, come i meli ‘Pomella genovese’ e ‘Carla’, e i peri ‘Giasö’ e ‘Cavgiön’.

All’interno delle Serre di Scopoli, costruite a partire dal 1776 su inziale progetto dell’architetto Giuseppe Piermarini, sono coltivati maestosi esemplari di Cycadidae e di succulente, tra i quali è degna di nota Welwitschia mirabilis, peculiare gimnosperma dalle foglie nastriformi a crescita continua, che vive esclusivamente nelle aree desertiche di Angola e Namibia.

La collezione di piante officinali, recentemente rinnovata, trova posto nei lettorini (o pulvilli), aiuole in muratura che in passato venivano riparate con vetri per consentire il ricovero di piante sensibiliai rigori invernali. Fra le oltre 250 specie coltivate, figurano Cannabis sativa ‘Carmagnola’, cultivar italiana di canapa da fibra risalente al XVI secolo; il glicine tuberoso (Apios americana), i cui tuberi vennero sperimentati dal direttore Giuseppe Moretti a inizio Ottocento come alternativa a quelli della patata; il guado (Isatis tinctoria) e la robbia domestica (Rubia tinctoria), che nell’antichità servivano per tingere i tessuti rispettivamente di blu e di rosso; e oltre 70 lamiacee aromatiche, che durante la fioritura attraggono numerosi impollinatori.

Il Tè pavese (Camellia sinensis ‘Ticinensis’) è una delle piante più rappresentative dell’Orto Botanico di Pavia: si tratta di una cultivar di tè che venne ottenuta fra le mura della nostra isitituzione dal direttore Gino Pollacci, tra il 1928 e il 1940. La sua caratteristica distintiva è la resistenza al freddo, che consentì la sperimentazione di un tè nero “autarchico”. La preparazione della bevanda si è perduta nel tempo ma la pianta, coltivata per i suoi minuti ma graziosi fiori bianchi e gialli, è giunta fino ai nostri giorni.

La conservazione della biodiversità vegetale e degli ecosistemi, pilastro dell’attività di ricerca del DSTA, è messa in pratica attraverso la coltivazione di una piccola felce acquatica, la calamaria di Malinverni(Isoetës malinverniana), che in natura vive solo in alcune località delle province di Pavia, Vercelli e Novara. A rischio di estinzione per l’inquinamento e la risagomatura dei canali in cui vive, viene allevata per poter essere in seguto reintrodotta nel suo areale. Lo stesso avviene per un’altra pteridofita acquatica, il quadrifolgio acquatico (Marsilea quadrifolia), fino ai primi del Novecento diffuso come infestante nelle risaie pavesi. 

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Nella stagione primaverile i colori e i profumi dei fiori diventano protagonisti all’Orto Botanico di Pavia. Già dal mese di aprile inizia a fiorire il Roseto, la collezione più popolare, costituita nel Secondo dopoguerra da Raffaele Ciferri. Attualmente comprende quasi 200 esemplari di rose botaniche, antiche e moderne, fra le quali si possono ricordare Rosa agrestis, specie autoctona dalle foglie profumate di mela; l’antica rosa ‘Kazanlik’, storicamente impiegata per la preparazione dell’essenza di rosa; e ‘La France’, la prima rosa moderna della storia (1867). La collezione rappresenta un laboratorio a cielo aperto che consente di divulgare nozioni di botanica e orticoltura, complice anche la gestione sostenibile, che, come nel resto dell’Orto Botanico, prevede pratiche quali la rimozione meccanica delle malerbe, la raccolta manuale del coleottero fitofago Popillia japonica e l’uso di macerato di ortica contro l’afide della rosa.

Più recenti ma altrettanto attrattive per estetica e valore storico-scientifico dei singoli esemplari sono le collezioni di iris, peonie e hosta. L’Irideto comprende 71 esemplari di iris, tra cui cultivar antiche di Iris pallida (come ‘Dalmatica’ e ‘Mme Chéreau’) e I. germanica (per esempio ‘Amas’, ‘Alcazar’ e ‘Dominion’), in larga parte scomparse dal commercio; non mancano specie di origine selvatica, come Iris florentina (già coltivata dagli Egizi; al suo fiore si ispira Giglio di Firenze) e l’autoctona Limniris sibirica, pianta tipica dei boschi del Ticino e probabilmente estinta in provincia di Pavia. Le Hosta sono piante rizomatose originarie dell’Asia orientale; amanti dell’ombra e contraddistinte da foglie ampie, colorate e da un’elegante fioritura estiva, vennero introdotte per la prima volta in Europa dal Giappone nella seconda metà dell’Ottocento dal botanico tedesco Philipp von Siebold. Due cultivar di Siebold (‘Sieboldiana’ e ‘Fortunei Albopicta’) prosperano nella nostra collezione assieme ad altri 42 esemplari più recenti, fra cui la gigantesca ‘Empress Wu’.